Perché il servizio di IVG non può essere a carico di unə solə ginecologə? La Sicilia ce lo mostra
Garantire il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) non significa solo avere una legge che lo prevede (L. 194/78) — significa assicurare che chiunque ne abbia bisogno possa realmente accedervi, in tempi certi e in condizioni di sicurezza.
Eppure, in molte strutture italiane, questo diritto si regge sulla disponibilità e sulla tenacia di unə solə ginecologə non obiettorə. Una situazione insostenibile, ingiusta e, soprattutto, inaccettabile in un sistema sanitario che si definisce pubblico.
Un diritto che non può dipendere da una persona sola
Quando una persona ottiene il certificato per accedere all’IVG, l’intervento — come chiarisce una circolare del Ministero della Salute del 30 marzo 2020 — è urgente e indifferibile. Non può essere rimandato, perché la legge 194/78 fissa limiti temporali precisi.
Ma cosa accade se l’unicə ginecologə non obiettorə dell’ospedale è in ferie o in malattia? Accade che il servizio si blocca, le liste si allungano, e le persone vengono costrette a spostarsi anche di centinaia di chilometri, o peggio, a rinunciare.
È successo e succede tuttora in diverse parti d’Italia.
In Sicilia, ad esempio, dopo il pensionamento dell’unicə ginecologə non obiettorə a Trapani — che effettuava circa 80 IVG al mese — il servizio è stato sospeso per settimane. Lo stesso rischio è emerso in altre città, come Messina, dove l’intero carico di lavoro grava su pochɜ professionistɜ.
Quando un diritto dipende dalla salute o dalle ferie di una persona sola, non si tratta più di un diritto: si tratta di una lotteria sanitaria.
Stress e isolamento: il prezzo umano di chi garantisce il servizio
Dietro la parola “non obiezione” ci sono professionistə che si fanno carico di una responsabilità enorme.
Non solo devono gestire interventi urgenti, ma anche l’ansia di sapere che, se si assentano, tutto si ferma.
Molti e molte raccontano di aver lavorato anche durante la malattia, o di essere statə richiamatə dalle ferie per eseguire un’IVG di una persona che era ormai prossima al limite previsto dalla legge.
Unə ginecologə obiettorə può prendersi con serenità un periodo di malattia o di riposo; unə non obiettorə, spesso, no.
Questo porta a un logoramento profondo: stress psicologico, senso di isolamento, burnout. E tutto ciò avviene nel silenzio, perché chi garantisce il diritto all’aborto raramente trova la stessa tutela o visibilità di chi lo nega.
Carico di lavoro: i numeri raccontano una disuguaglianza
I dati del Ministero della Salute parlano chiaro: in alcune regioni, come la Sicilia, il carico di lavoro settimanale per ginecologə non obiettore è tra i più alti d’Italia.
In media, unə solə professionistə deve affrontare un numero di interventi molto superiore alla media nazionale.
Questo non solo mette a rischio la qualità dell’assistenza, ma mina la sicurezza stessa del personale sanitario.
La conseguenza? Le strutture diventano fragili, e basta un’assenza o un pensionamento per paralizzare interi reparti.
Un servizio così importante non può poggiare su una persona sola: deve essere collettivo, organizzato, sostenuto da un’équipe.
Disparità e discriminazione tra obiettorə e non obiettorə
Oggi, paradossalmente, chi sceglie di non fare obiezione di coscienza ha meno opportunità lavorative.
Molte strutture, specialmente quelle di ispirazione religiosa, assumono esclusivamente ginecologə obiettorə.
In Sicilia, ad esempio, ospedali come il Buccheri La Ferla di Palermo, l’Istituto Giglio di Cefalù, l’Humanitas di Catania o la Clinica San Camillo di Messina escludono di fatto l’assunzione di chi non si dichiara obiettorə.
Questo significa che chi sceglie di rispettare la legge 194 si trova con meno possibilità di lavoro e più carichi da sostenere. Per non parlare delle campagne diffamatorie di chi fa attivismo antiabortista.
Un paradosso che scoraggia chi vorrebbe formarsi e lavorare nel campo della salute riproduttiva, lasciando intere regioni senza ricambio generazionale.
Soluzioni possibili: dove si è già intervenuto
Alcune Regioni hanno trovato strade concrete per affrontare il problema.
Il Lazio, ad esempio, ha introdotto concorsi dedicati a ginecologə non obiettorə.
Dopo un primo esperimento all’Umberto I di Roma nel 2014, è stato il San Camillo-Forlanini a rendere stabile la soluzione: assunzioni a tempo indeterminato riservate a chi garantisce il servizio, con una clausola che prevede la revoca del contratto in caso di successiva obiezione nei primi mesi.
Grazie a questo modello, il servizio di IVG al San Camillo è oggi continuo, stabile e sicuro, e le persone che vi lavorano possono contare su una rete di supporto.
Anche la Sardegna ha avviato un percorso legislativo per assumere personale non obiettore, riconoscendo la necessità di garantire la piena attuazione della legge 194.
Garantire un diritto è un dovere collettivo
L’accesso all’aborto non può dipendere dal coraggio o dal sacrificio di pochɜ.
È un diritto previsto dalla legge, frutto di una scelta collettiva della cittadinanza, e come tale deve essere tutelato da un sistema sanitario efficiente e giusto.
Ogni Regione deve impegnarsi a rendere strutturale la presenza di personalə non obiettore, evitando che il servizio si regga sulla buona volontà di unə solə professionistə.
Garantire il diritto all’IVG significa garantire salute, dignità e uguaglianza per tuttə.
Foto generata artificialmente. Non raffigura persone reali.
Chi garantisce l’IVG non deve essere lasciatə solə.
Un diritto non può dipendere da una sola persona — e nemmeno da un solo atto di coraggio.










