Il 28 settembre è la giornata mondiale per l’accesso a un aborto sicuro, istituita negli anni Novanta grazie all’omonima campagna per la decriminalizzazione dell’aborto portata avanti da attiviste sudamericane e caraibiche.
Ma quest’anno il giorno assume una connotazione ancora più particolare, per via di un anniversario importante.
Sono passati infatti esattamente 100 anni dall’adozione della prima legge che legalizzava l’aborto, un “Decreto sulla salute delle donne” promulgato nell’ottobre 1920 dall’Unione Sovietica e fortemente voluto dalla femminista Alexandra Kollantai, Ministra del Welfare e prima donna nella storia a far ufficialmente parte di un governo.
Nel corso del secolo scorso ci sono stati molti passi avanti dal punto di vista legislativo e la maggior parte dei Paesi al mondo ha legalizzato l’aborto per questioni di salute, socio-economiche o sulla base della scelta della donna. Nonostante questo, ci sono ancora 16 paesi al mondo che criminalizzano l’aborto in toto, e altri 30 che lo considerano legale solo in caso di pericolo di vita della donna. E come sappiamo bene, anche in Paesi che hanno totalmente legalizzato l’aborto, come l’Italia, altri ostacoli pratici si frappongono tra il diritto legale e l’accesso concreto ad un aborto sicuro, tra cui per esempio l’obiezione di coscienza da parte del personale medico e sanitario.
Il centenario della legalizzazione dell’aborto ci porta a fare una serie di riflessioni, come ci ha ricordato il 24 settembre la Federazione Internazionale di Ginecologia e Ostetricia (FIGO) in un webinar molto interessante. Legalizzazione non significa aprire le porte all’aborto e crearlo laddove non c’era, come ha fatto presente Marge Berer, (fondatrice della Campagna Internazionale per un Aborto Sicuro). Da che mondo e mondo, le donne si sono procurate aborti per interrompere gravidanze indesiderate; ma la legalizzazione ha garantito la transizione da aborti clandestini e pericolosi a un accesso all’aborto sicuro per tantissime preservando la loro salute e salvando in molti casi le loro vite.
Così, a un secolo dalla prima legge al mondo che legalizzava l’aborto, e a oltre 40 da quella che lo ha reso legale nel nostro Paese, dove siamo oggi?
“La percentuale media di ginecologi obiettori in Italia media è del 69% con picchi del 91% in alcune Regioni e la quota degli ospedali in cui si rende usufruibile l’interruzione di gravidanza è del 64,9% e non del 100% come dovrebbe essere, in base all’Art. 9 della Legge 194/78”, sottolinea Silvana Agatone, presidente di Laiga, Libera associazione italiana ginecologi per applicazione della Legge 194.
“L’aborto terapeutico, ovvero quello dopo i 90 giorni a causa di malformazioni del feto o pericolo per la salute della madre, viene eseguito solo in pochissime città italiane da pochissimi ginecologi. Qualsiasi miglioramento delle tecniche di aborto come ad esempio l’aborto farmacologico, spesso accompagnato dall’inutile ricovero obbligatorio di tre giorni in ospedale, viene demonizzato come pericoloso e etichettato come un abbandono della donna. Ricordiamo che in Francia è da 15 anni che le donne ricevono il farmaco dal loro medico di famiglia e lo assumono a casa, poiché è stata confermata la mancanza pressoché totale di rischi”.
Nel corso degli anni, le tecniche mediche si sono raffinate per garantire interruzioni volontarie di gravidanza in sicurezza, e la telemedicina è una nuova opportunità che ha consentito, per esempio, accesso ad aborti sicuri durante la pandemia del COVID-19 in alcuni Paesi europei tra cui Irlanda, Inghilterra e Francia. Essa assicura aborti gestiti direttamente dalle donne, che possono avvenire più precocemente nella gestazione, libera da lunghe procedure legali e cliniche obsolete e non necessarie, e assicura consultazioni a distanza e dunque più accessibili per tutte. Innovazione e avanzamento in quest’ambito a beneficio delle donne però sono solo possibili laddove l’aborto non sia criminalizzato e le donne siano messe in condizione di esercitare pienamente i propri diritti sessuali e riproduttivi.
“Le donne in Italia non chiedono chiaramente al ginecologo cui si rivolgono se è non obiettore o meno, ovvero se sarà disposto a seguirle in qualsiasi momento delle loro necessità o se, dopo una diagnosi prenatale che metta malauguratamente in evidenza una grave malformazione del feto, le abbandonerà, lavandosi le mani come Ponzio Pilato e così troppo spesso si ritrovano i questo caso sì, abbandonate al loro destino”, prosegue Agatone, “La realtà attuale è che esiste un movimento politico che attacca fortemente l’aborto sicuro e cerca di far diventare sempre più difficile usufruirne. Ma così si obbligano le donne o alla tortura di portare avanti gravidanze non desiderate o a far tornare le donne a rischiare morire di aborto clandestino.
Dobbiamo stare all’erta, ricordarci che la fatica fatta da tante donne del passato per noi donne di oggi non è una conquista eterna ma che dobbiamo sempre lavorare e vegliare perché permanga nel tempo”, conclude la presidente.
Per tutti questi motivi quest’anniversario è così importante e va ricordato come una pietra miliare dell’accesso delle donne alla gestione autonoma delle proprie gravidanze. Speriamo di poter festeggiare il prossimo centenario in un mondo che rispetta ancora di più il diritto delle donne ovunque di poter decidere sul proprio corpo.
di Chiara Cosentino