Difendere chi difende: la battaglia silenziosa di chi garantisce l’accesso all’aborto sicuro

Difendere chi difende aborto

Chi lavora ogni giorno per assicurare l’accesso all’aborto sicuro salva vite. Eppure, troppo spesso, chi offre questa cura essenziale si trova dall’altra parte del mirino: intimidazioni, minacce, campagne diffamatorie e persino procedimenti penali. Non si tratta di episodi isolati o di Paesi in cui l’aborto è vietato: succede anche là dove la legge lo permette, succede anche in Italia. Riguarda personale sanitario e attivistɜ. È un paradosso che pesa come un macigno sulla salute pubblica e sui diritti umani, per questo abbiamo bisogno di te, che fai parte di un corpo professionale, di un’organizzazione educativa, di un sindacato, di un organismo internazionale, del mondo media, tu che fai beneficienza e filantropia: anche tu dovresti proteggere chi difende l’aborto.

Pensiamo all’hate speech, cioè quando autorità o media hanno dato del “sicario” ai medicɜ/ginecologɜ che applicano la legge 194, praticando l’aborto legalmente. Pensiamo a tutte le volte che figure politiche o istituzionali hanno espresso contrarietà verso medicɜ che svolgono il loro dovere, definendolɜ con termini fortemente negativi. Comportamenti che hanno la responsabilità di contribuire a erodere il diritto alla salute della collettività.

Le persone che garantiscono cure abortive salvavita affrontano attacchi, intimidazioni e criminalizzazione semplicemente perché fanno il loro lavoro. Ambienti ostili persistono persino in Paesi con accesso legale, creando un effetto raggelante, silenziante e stigmatizzante”, si è sottolineato in un recente webinar organizzato dalla FIGO (Federazione Internazionale di Ginecologia e Ostetricia), in collaborazione con Amnesty International, dal titolo Defending the defenders.

Un nuovo quadro di protezione

Da questa realtà è nato nel 2024 il documento Key principles and actions to safeguard abortion care providers as human rights defenders, elaborato da Amnesty International: un insieme di principi e azioni concrete per riconoscere chi difende il diritto all’aborto come difensorə dei diritti umani e proteggerlɜ di conseguenza.

Le raccomandazioni sono chiare: prevenire violazioni e intimidazioni, garantire che l’aborto non sia criminalizzato, tutelare la libertà di parola e associazione, assicurare giustizia e riparazione a chi subisce violenze o accuse infondate. In poche parole: difendere chi difende.

La fatica quotidiana

Per il personale sanitario, questa battaglia si traduce in un lavoro costante sotto pressione. Non basta la fatica clinica di assistere chi affronta una procedura sanitaria sempre poco piacevole: bisogna anche fare i conti con lo stigma sociale, con il rischio di essere isolatɜ dallɜ collegɜ, con minacce che colpiscono la vita privata.

Per chi fa accompagnamento, la sfida è altrettanto dura: difendere l’accesso a un diritto fondamentale significa esporsi a campagne di odio, a volte orchestrate da gruppi potenti. Eppure senza questa voce pubblica lo spazio civico rischia di chiudersi, lasciando chi cura in prima linea sempre più solə.

E per chi magari non conosce da vicino la questione, la realtà è semplice: chi oggi difende il diritto all’aborto sicuro difende anche la libertà, la salute e la dignità di tuttɜ. Non è una battaglia “di qualcun altro”: è una battaglia che riguarda la qualità delle cure, la giustizia sociale e l’uguaglianza di genere.

Una responsabilità collettiva

Gli interventi dal Camerun, dal Burkina Faso e dal Nepal, portati al webinar FIGO, hanno mostrato rischi concreti e globali. Ma hanno anche testimoniato la forza di chi non si arrende e continua a lottare per un ambiente più sicuro, libero dallo stigma.

In un’epoca in cui i diritti sessuali e riproduttivi vengono rimessi in discussione in molte parti del mondo, difendere chi garantisce l’aborto sicuro significa proteggere l’intera società.

Sta a noi, cittadinɜ, sanitarɜ, attivistɜ o semplici lettorɜ, riconoscere questa fatica e trasformarla in solidarietà concreta.

Perché se chi ci difende resta solə, perdiamo tuttɜ.

Lo sapevi?

  • Le persone che difendono il diritto all’aborto sono Women Human Rights Defenders (WHRDs), ma non siamo solo noi operatorɜ sanitariɜ. Si tratta anche di altre donne, ragazze, persone con identità di genere diverse, persone LGBTQIA+, accompagnatrici, gruppi di attivismo.

  • La definizione di “servizio di aborto” è infatti oggi ampia: include aborto medico (farmaci), aborto auto-gestito, assistenza post-aborto, consulenza non direttiva, informazione basata su evidenze scientifiche.

  • Esisterebbero obblighi internazionali degli Stati nei confronti dellɜ difensorɜ dei diritti all’aborto. Includerebbero doveri giuridici già sanciti dagli standard del diritto internazionale, dalle raccomandazioni ONU, convenzioni sui diritti umani, ma spesso non rispettati. Da qui la necessità che soggetti diversi oltre allo Stato partecipino.
  • Gli ostacoli a un aborto sicuro non sono solo quelli relative alla sua criminalizzazione, ma includono quelli legati ai tempi legali di esecuzione (settimana di riflessione), sui limiti gestazionali (farmacologico a 7, 9 o 12 settimane), all’obbligo di autorizzazioni esterne (certificato di IVG da farsi controfirmare), politiche sull’obiezione di coscienza. Tutte questioni che nella pratica rendono difficile o impossibile l’accesso, anche quando la legge consente l’aborto.

  • I movimenti antidiritti danno vita al fenomeno del backlash (reazione regressiva). Lavorano contro le riforme per l’avanzamento della salute in tema di aborto e lo fanno con campagne anti-aborto, iniziative legislative che limitano eccezioni già presenti, restrizioni più severe, riduzione dei diritti conquistati.

  • Prepotente è il ruolo della disinformazione in mala fede, delle narrative tossiche, delle teorie del complotto, e del sentimento antigender nei discorsi anti-diritti, quali strumenti sistematici usati per stigmatizzare e indebolire chi difende l’aborto.

  • L’impatto più forte è sempre su chi è già marginalizzatə: persone con basso reddito, appartenenti a minoranze etniche, indigene, migranti, con disabilità, giovani, adolescenti. Persone che si ritrovano ad affrontare ostacoli multipli e discriminazioni incrociate.

  • Le conseguenze di questi attacchi sulla salute mentale, sul benessere emotivo, sul privato di chi difende l’aborto sono diverse: burnout, isolamento, paura, disturbi psichici dovuti a minacce, intimidazioni, responsabilità morali ed etiche.

  • Esistono ulteriori danni, collaterali, quando l’aborto non è libero, sicuro e gratuito: anche l’aborto “spontaneo” di chi avrebbe desiderato diventare genitore o sfortunate emergenze ostetriche da affrontare possono diventare reato o subire ritardi nei trattamenti di salute generale per paura di ripercussioni legali da parte del personale medico. Pensiamo al caso di Valentina Milluzzo.

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Amnesty International (2023), “24 November 2023 An unstoppable movement: A global call to recognize and protect those who defend the right to abortion”, Index Number: POL 40/7420/2023, https://www.amnesty.org/en/documents/pol40/7420/2023/en/.

Amnesty International (2024), “Key principles and actions to safeguard abortion care providers as human rights defenders”, Index Number: POL 30/8739/2024, https://www.amnesty.org/en/documents/pol30/8739/2024/en/.

Alcuni contenuti sono tratti e adattati da Amnesty International e FIGO. © Amnesty International / FIGO, usati con finalità informative. Foto generata artificialmente. Non raffigura persone reali.

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