La settimana appena passata è stata densa di notizie, sia positive che purtroppo negative, riguardanti decisioni sull’aborto in vari Paesi europei.
In Slovacchia, martedì 20 ottobre il parlamento non ha approvato un disegno di legge regressivo proposto dalla coalizione al governo, che avrebbe impedito alle donne slovacche di poter ricevere informazioni sull’aborto, le avrebbe costrette a spiegare la loro scelta al personale di due istituzioni sanitarie, e obbligate ad aspettare 96 ore tra la loro decisione e il momento dell’operazione. Fortunatamente la maggioranza dei parlamentari polacchi ha ritenuto queste restrizioni non necessarie dal punto di vista medico, come afferma l’Organizzazione Mondiale della Sanità, e in violazione dei diritti delle donne slovacche, come ritiene la maggior parte della popolazione slovacca secondo un poll del 2018. Questo tentativo di restrizione del diritto all’accesso ad un aborto sicuro non è il primo né sarà l’ultimo e si inserisce nel quadro più ampio di continui attacchi ai diritti sessuali e riproduttivi delle donne nell’est Europa.
In questo senso, il 22 ottobre è stato un giorno nero per la Polonia, perché la corte costituzionale, controllata fortemente dal partito ultra-conservatore al governo dopo ripetuti attacchi allo stato di diritto attraverso la nomina di giudici scelti per le loro affinità politiche al governo, ha di fatto sancito un divieto totale di aborto legale nel paese. La decisione, che ha ritenuto incostituzionale la attuale legge sull’aborto polacca, rimuove l’unica base legale che le donne hanno per richiedere un aborto, ovvero l’accesso all’aborto terapeutico per gravi o fatali malformazioni fetali, obbligando di conseguenza le donne a portare avanti gravidanze pur essendo consapevoli che il feto non sopravvivrà o, se vivrà, avrà gravissimi problemi di salute per tutta la vita. Questa decisione costituisce un precedente molto grave, perché nonostante i numerosi tentativi in tal senso mai andati a buon fine, è la prima volta che uno stato retrocede sul diritto acquisito all’aborto. Questo galvanizzerà probabilmente altre spinte anti-choice in altri paesi europei a fare lo stesso, e richiama tutti noi ad essere vigili.
Nello stesso giorno la Polonia ha firmato la “Dichiarazione di Consenso di Ginevra”, sponsorizzata da Stati Uniti, Egitto, Uganda, Brasile, Ungheria e Indonesia, e firmata da altri 30 paesi, che oppone l’esistenza del diritto all’aborto, senza alcuna base legale e andando contro tutti i principi del diritto internazionale dei diritti umani.
Lo stesso giorno una buona notizia è arrivata dal Regno Unito, dove la Corte d’Appello non ha ritenuto illegale la possibilità temporanea data alle donne durante il lockdown di assumere il Mifepristone (componente della pillola abortiva) a casa entro le prime 10 settimane. Il Regno Unito è stato uno dei primi paesi europei durante i mesi di pandemia a ricorrere alla telemedicina come soluzione a urgenti necessità mediche, inclusa la volontà di avere un aborto, della popolazione inglese.
Forze conservatrici e riformatrici si sono battute e continueranno a farlo in molti paesi europei, inclusa l’Italia, riguardo all’accesso all’aborto. Ciò che succede in alti paesi da un lato ci ispira a spingere per avanzamento dei diritti sessuali e riproduttivi delle donne in Italia, e dall’altra ci insegna a non abbassare mai la guardia e a non dare per scontato che i diritti acquisiti rimarranno per sempre tali.
di Chiara Cosentino
Foto di Robert Pastryk